Dossier su UNIBO. L’Università più antica d’Occidente, il mestiere più antico del mondo: la guerra

Contrariamente a quello che nell’immaginario collettivo è considerato il più antico mestiere del mondo, gli storici sostengono che in realtà le prime attività di lavoro fossero la caccia e la guerra (quest’ultima ad opera di mercenari). Insomma, il più antico mestiere dell’umanità riguardava l’uso delle armi, anche come segno della condizione primitiva di quelle comunità nel procurarsi le risorse.

Ben più tardi, intorno all’anno Mille, il progredire della società del tempo, grazie alla nascita dei primi nuclei delle Università, consentì l’elevazione ad una condizione di civiltà superiore, grazie alla condivisione dei saperi ed alla costruzione di luoghi di studi aperti anche a persone provenienti da lontano, nel segno della pace e della cooperazione fra i popoli. Gli universitari erano persone di cultura distanti dall’uso delle armi, soprattutto nell’ambiente dei loro studi. Le materie studiate (teologia, filosofia, legge, medicina) erano lontane dalla barbarie della cultura della guerra.

Ebbene, quasi 1000 anni dopo succede oggi, invece, che nell’Italia del 2023, persino nel più antico Ateneo dell’Occidente, l’Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna, il mondo accademico sembra  aver dimenticato la sua missione originaria, arrivando ad aprire le sue porte anche alla professione più antica del mondo: quella della guerra, quella dei produttori di armi e di morte.

Ad onor del vero, è già da diversi anni che l’Esercito, la NATO e le realtà che operano nel settore strategico militare e nella produzione bellica e parabellica sono presenti in Università con vari accordi di collaborazione nella ricerca e nella didattica. Ma dall’inizio del conflitto in Ucraina questa tendenza ha visto un’accelerazione. Naturalmente, tali collaborazioni avvengono anche in tanti altri Atenei italiani ed in particolare nei Politecnici (Torino, Milano, Bari, etc.), ma fa ancora più specie che vengano portate avanti con tanta insistenza in una Università che ha ben altre radici e tradizioni in termini di apporto culturale al progresso della società.

Ecco alcune delle realtà con cui l’Università collabora: si tratta di enti, organizzazioni ed aziende che operano nell’ambito della strategia militare e della produzione di armi o di sistemi che possono essere anche utilizzati in contesti bellici (ad esempio le telecomunicazioni ed i sistemi elettronici).

L’Università di Bologna è uno dei 14 Atenei che hanno partecipato nel 2023 all’esercitazione “Mare Aperto”, organizzata e condotta dal Comando in Capo della Squadra Navale, che ha visto impegnate forze e personale di 23 nazioni (12 Paesi NATO e 11 Partner), 41 unità navali tra navi e sommergibili, oltre ad aerei ed elicotteri dell’Aviazione Navale, reparti anfibi della Brigata Marina San Marco, incursori e subacquei del COMSUBIN, mezzi navali e aeromobili del Corpo delle Capitanerie di Porto, con l’aggiunta di mezzi e personale di Esercito, Aeronautica, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza. Un totale di circa 6 mila militari coinvolti unitamente a personale civile proveniente da diversi istituti universitari e centri di ricerca. Dal 13 aprile 2023 le forze in campo si sono cimentate in simulazioni ad alto realismo, lotta contro minacce convenzionali e asimmetriche, raid su siti costieri d’interesse, esercitazioni di sicurezza marittima.

Nell’esercitazione si simula un conflitto fra un Paese democratico ed un Paese con un regime autoritario: naturalmente, all’Italia tocca sempre giocare dalla parte dei “buoni”… d’altronde, siamo un Paese democratico, no?!

Ci chiediamo a che titolo degli Atenei debbano essere interessati per i loro fini di didattica e di ricerca a partecipare a questo genere di esercitazioni e quale sia il ritorno di tale partecipazione per la comunità accademica. Perché uno studente di Scienze Politiche dovrebbe salire su una portaerei dalla quale partono dei caccia? A cosa si sta preparando quello studente?

Fonte: Marina Militare

(NB: nel passaggio da una narrazione all’altra è evidente l’edulcorazione avvenuta negli ultimi anni rispetto all’esercitazione nel momento in cui coinvolge anche studenti e ricercatori universitari)

Fra il 2015 ed il 2016 in Italia nacquero diversi appelli e petizioni contro la collaborazione fra Università italiane università e Technion, l’istituto di tecnologia di Haifa specializzato nello sviluppo di tecnologie militari e complice del governo israeliano nelle azioni contro la popolazione palestinese.

E pare che non si sia imparato molto da quelle iniziative di boicottaggio emerse nel mondo accademico italiano, se ancora oggi continua la collaborazione con uno dei partner più preoccupanti, che è appunto Technion.

Sembra che nel 2023 gli organi Accademici di UNIBO abbiano deliberato la cessione di alcuni brevetti a Technion per l’uso di alcuni foto catalizzatori (e di questo chiediamo conto alla governance), sviluppati nell’ambito di un progetto in ambito edilizio con Italcementi e Technion stesso. Dalla letteratura scientifica pare però che l’attività fotocatalitica abbia interessanti applicazioni in ambito militare, soprattutto rispetto alla protezione da armi chimiche. Anche se non siamo in grado di valutare i rischi, riteniamo che sia comunque una questione delicata quella di cedere un brevetto prodotto dalla ricerca fotocatalitica lasciando l’esclusiva a Technion, che risulta impegnato nella ricerca a scopi militari per conto del governo israeliano e ci sembra preoccupante, perché è difficile in questo ambito frenare un’applicazione ad uso civile per far sì che i risultati non vengano poi utilizzati a potenziali fini militari.

Ma la domanda è: quali altre collaborazioni ha in piedi UNIBO con Technion e su cosa? Già, perché spesso si tratta di collaborazioni in ambiti non propriamente militari, ma su applicazioni che potrebbero avere un potenziale sviluppo in ambiti strategici parabellici (si pensi alla chimica, alla robotica o alle telecomunicazioni).

Sempre con Technion, l’Università di Bologna in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli ha inoltre creato l’Italian Academic Centre di New York, un nuovo hub per l’innovazione, la ricerca e progetti di didattica nel cuore del Cornell Campus. In particolare, nel progetto con la Cornell University e con Technion, il contributo di UNIBO dovrebbe essere sui settori dei motori e del Data Science/Big Data. Anche qui da monitorare gli sviluppi e le applicazioni concrete.

Sul fronte delle relazioni fra UNIBO e NATO, gran parte degli accordi sembrano insistere nella didattica e sull’area politico-sociale, a riprova che la partita della militarizzazione delle università non si gioca solo sul terreno della ricerca finalizzata a trovare soluzioni di tipo tecnico-scientifico (ad es. in campo chimico ed ingegneristico) nel migliorare strumenti di supporto in contesti di guerra, ma anche sul piano dell’istruzione e nella socializzazione di contenuti, metodi e pratiche che vengono adottati nelle controversie geopolitiche e nella dimensione strategica dei conflitti internazionali. Da una parte l’azione, attraverso il perfezionamento degli strumenti da adottare, e dall’altra il pensiero, che nel contesto dei conflitti moderni gioca un ruolo fondamentale sia sul piano comunicativo, sia sul piano dell’analisi strategica nei confronti dell’avversario e dei decisori politici e sul piano diplomatico.

Fra gli accordi siglati con la NATO negli anni, la maggior parte riguardano la didattica ed alcuni hanno ad esempio previsto la possibilità di tirocini per gli studenti presso le basi militari della NATO in Italia, anche sulla base di quanto riferito dalla componente studentesca e mai smentiti da UNIBO.

Ma c’è un accordo ancor più preoccupante, la Cooperazione con NATO – ACT (cioè il Comando Alleato Trasformazione della NATO) che, oltre a prevedere la possibilità per gli studenti di svolgere un tirocinio presso ACT e una serie di attività di collaborazione scientifica, ha al suo interno anche un convegno internazionale tra esperti di sicurezza e difesa (Academic Conference), lo stage che annualmente viene bandito da ACT e una simulazione dedicata agli studenti denominata NATO Model Event: «si tratta di una particolare attività di simulazione che coinvolge studenti appositamente selezionati, che in veste di rappresentanti degli Stati che fanno parte del Consiglio Nord Atlantico devono discutere e decidere come reagire in uno scenario di crisi internazionale prefigurato». Una sorta di gioco di ruolo sullo sfondo di tensioni e conflitti fra vari Paesi.

A queste si è aggiunto nel 2014 il finanziamento del progetto di ricerca PREDICT (Projections and Relevant Effects of Demographic Implications, Changes, and Trends), – di cui si fa fatica a trovare notizie online – che ha finanziato anche assegni di ricerca ed ha ricevuto il plauso dell’Alto Comando Trasformazione della NATO «per la sua capacità di coniugare trend demografici ed effettive sfide di sicurezza a livello globale. Uno sguardo al futuro dunque, che UNIBO sa cogliere e tradurre in suggerimenti pratici e rilevanti per il futuro dell’Alleanza Atlantica».

Il Gruppo Leonardo è una delle maggiori imprese del mondo nei settori Difesa, Aerospazio e Sicurezza, e quindi anche nel settore degli armamenti: sviluppa e produce elicotteri ed aerei, sistemi di difesa ed opera in ambito spaziale con attività sia in ambito civile che militare.

Fra le principali collaborazioni fra UNIBO e Leonardo SpA c’è la partecipazione al Career Day, dove le opportunità di lavoro presso Leonardo vengono offerte in mezzo alle altre realtà. Leonardo partecipa anche alle iniziative della BBS, la Scuola di Master di UNIBO.

Inoltre, il Dean della BBS (Prof. Massimo Bergami) fa parte insieme all’ex Rettore Prof. Francesco Ubertini del Comitato Scientifico della Fondazione Med-Or (del gruppo Leonardo), che rappresenta per il gruppo la foglia di fico, il cavallo di Troia da piazzare nell’arena geopolitica: contro la partecipazione degli Atenei al Comitato scientifico della Fondazione è in corso una petizione dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università indirizzata al mondo accademico italiano. Inoltre, vengono portati avanti diversi progetti del PNRR in collaborazione con Leonardo SpA, come il programma RESTART – “RESearch and innovation on future Telecommunications systems and network” (https://www.fondazione-restart.it/it/home-italiano/) per il più importante progetto nazionale PNRR per le telecomunicazioni, in collaborazione con altri Atenei ed aziende del settore delle telecomunicazioni.

Altri progetti portati avanti nell’ambito del PNRR da UNIBO con Leonardo sono anche “Isolde” e “Tristan” tramite ARCES, un centro di UNIBO per la ricerca interdisciplinare nel settore dei sistemi elettronici (nanosistemi, microsistemi e ICT).

Infine, si segnala la partecipazione di UNIBO, tramite il Prof. Lorenzo Marconi ed il dottorando Dott. Lorenzo Gentilini al Drone Contest di Leonardo, oltre che all’iniziativa “DRONI: Tecnologie e Missioni” di StemLAB.

L’obiettivo finale del team è dotare la piattaforma aerea di un’intelligenza artificiale che permetta di eseguire le operazioni predefinite in completa autonomia e senza l’intervento umano.  Piuttosto inquietante la slide esplicativa del progetto di UNIBO, nella quale riferendosi al progetto sui droni si prospetta di lavorare «insieme per dotare la piattaforma aerea di un’IA in grado di funzionare in qualsiasi situazione»: allarma il modo in cui uno studente o anche il docente che supervisiona possano lanciare segnali di questo tipo su un utilizzo ad ampio spettro, eventualmente anche militare, a proposito del risultato di una ricerca condotta in ambito accademico. Il grande tema è appunto quello di comprendere su quante e quali di tali collaborazioni i risultati della ricerca andranno oltre l’uso civile e sconfineranno nell’applicazione militare.

Fra le controllate da Leonardo SpA si segnala anche Telespazio, che ha collaborato con UNIBO nella didattica e nell’innovazione del settore spaziale. In particolare, UNIBO si è aggiudicato un premio per il progetto di un mini-satellite modulare.

Da monitorare anche altri accordi con aziende e realtà che operano nel settore dell’aeronautica e dell’aerospaziale, come Avio ed Alenia.

La rappresentanza di USB Università in UNIBO, che ha aderito all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, ha inviato lo scorso 21 agosto 2023 alla governance dell’Ateneo un’istanza di accesso agli accordi siglati dall’Università di Bologna con imprese, enti ed organizzazioni che operano nel settore militare e strategico. A distanza di un mese, il Delegato del Rettore ed ai rapporti con le imprese ed alla ricerca industriale ha comunicato in via informale che sia il Magnifico Rettore che la DG ritengono la richiesta non soddisfacibile, confermando che l’Ateneo NON ha alcuna attività tesa a sviluppi “militari” e che tutte le ricerche sviluppate o altre attività erogate sono assolutamente in linea con il codice etico di ateneo, il quale non contempla tale genere di attività.

Restiamo in attesa almeno di una risposta formale con le motivazioni ufficiali per le quali non si possa dare seguito ad una richiesta di semplice trasparenza di atti della Pubblica Amministrazione, principio che dovrebbe prevalere rispetto alla riservatezza degli accordi invocata dalle aziende e dai partner firmatari degli accordi, almeno sulle parti generali degli accordi (oggetto, durata, importo, ritorno per l’Ateneo, etc.), senza entrare nelle specificità tecniche delle attività di ricerca, che ovviamente negli aspetti scientifici può legittimamente implicare la segretezza di alcune informazioni.

Come USB ci auguriamo comunque che all’Università di Bologna, e magari anche in altri Atenei, possa trovare accoglimento la nostra proposta, ribadita anche nella richiesta di accesso agli atti, relativa all’introduzione di una clausola etica nella stipula di accordi e convenzioni con realtà che anche potenzialmente possano utilizzare i risultati della collaborazione sulla ricerca e sulla didattica per scopi militari: la clausola prevede espressamente il divieto per il contraente o i contraenti ad utilizzare i risultati della collaborazione (che sia sulla ricerca, sulla didattica o sulla Terza Missione) per scopi militari. In effetti, il grande problema è quello del “dual use“, cioè quei beni a duplice uso, come prodotti, software e tecnologie che possono essere utilizzati sia per applicazioni civili che militari (un prodotto chimico per l’industria, un laser per la chirurgia medica, un radar, un reattore per un razzo spaziale, una nanotecnologia, un dispositivo elettronico, un sistema di sicurezza, un drone, una semplice app, etc.).

In Italia l’esportazione di prodotti dual use è sottoposta all’autorizzazione del Ministero dello Sviluppo Economico e ci sono anche controlli (spesso effettuati dai servizi segreti nei centri di ricerca e nelle università) per capire se su un prodotto per uso civile possano esserci possibili applicazioni di tipo militare. UNIBO dichiara di non effettuare attività tese a sviluppi militari, ma nella realtà una volta che i risultati della ricerca (brevetti, prototipi, etc, …) escono fuori dal suo controllo, basta che il partner apporti anche delle lievi modifiche e renda il prodotto suo per poi magari destinarlo ad un uso non civile. Chi potrebbe monitorare su questo dall’Ateneo? Nessuno! Infatti, a nostro avviso, la via maestra è quella di non stringere nessun rapporto di collaborazione con gruppi, organizzazioni e realtà che a qualsiasi titolo, anche in modo indiretto, siano legati alla produzione di armi e di sistemi strategici nel settore bellico e parabellico (cioè funzionale al supporto in contesti di conflitti e guerre), come Leonardo, Technion, la NATO e l’Esercito.

Se però quando si parla di accordi con aziende che producono armamenti, come ad esempio Leonardo, l’Università di Bologna si nasconde dietro la facciata di accordi di collaborazione che vertono solo sull’uso civile dei risultati delle azioni congiunte, è più difficile per l’Ateneo che invece le attività sulla didattica quale l’esercitazione “Mare Aperto” o i tirocini presso le basi NATO o ancora il programma di simulazione del NATO Model Event facciano diretto riferimento alla gestione strategica di contesti di guerra. Pertanto, è lecito chiedere a gran voce al mondo accademico italiano ed in particolare all’Università di Bologna quali insegnamenti e quale contributi alla creazione di una società fondata sulla pace si pensa di trasmettere agli studenti con programmi che addestrano alla gestione di conflitti internazionali in un contesto che è chiaramente di tipo militare. Qual è il ritorno per l’Ateneo e per il progresso della società che deriva da tali iniziative e programmi congiunti, se non quello lampante di un processo di progressiva militarizzazione delle Università e del Sapere?

Nei prossimi mesi l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università continuerà a monitorare cosa avviene nel mondo dell’istruzione e della ricerca, per cui invitiamo tutti a segnalarci eventuali casi di collaborazioni, accordi, progetti ed iniziative anche su altri Atenei o da scuole, che in qualche modo siano testimonianza di questo processo di normalizzazione della presenza delle armi e della guerra nella nostra società, anche nell’ottica di un controllo popolare dal basso (vista la ritrosia di tante istituzioni a fornire dati ed informazioni). Sulla base delle evidenze che stiamo raccogliendo, siamo oramai  convinti che non si tratti di realtà isolate ed episodiche, ma di una tendenza crescente e di un’azione sistemica e sistematica che può solo portare ad un imbarbarimento e ad una regressione al passato, oltre che a conseguenze sulla degenerazione delle tensioni geopolitiche ed ai rischi di un’escalation bellica.

L’auspicio è che gli Atenei possano abbandonare la tonalità camouflage che stanno indossando e tornino a svolgere il loro ruolo di propulsore del sapere finalizzato al progresso della società, alla condivisione delle conoscenze, alla cooperazione fra i popoli ed alla pace. Smettiamola di far giocare gli studenti ed i ricercatori alla guerra!

Giuseppe Curcio, USB Università, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

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6 pensieri riguardo “Dossier su UNIBO. L’Università più antica d’Occidente, il mestiere più antico del mondo: la guerra

  1. […] Durante la conferenza stampa sarà presentata un’ulteriore iniziativa dell’Osservatorio, una raccolta firme (che sarà lanciata nei prossimi giorni) che chiede le dimissioni da Med-Or, fondazione di Leonardo, di 13 Rettori di altrettanti Atenei italiani; l’Osservatorio ritiene infatti che la loro presenza, all’interno della maggiore azienda italiana produttrice di armi, sia incompatibile con la funzione sociale e culturale delle Università. Leggi qui il Dossier sull’Università militarizzata. […]

  2. […] Inoltre, la professoressa sostiene che: «In Italia non è sufficientemente diffusa la conoscenza del ruolo delle università israeliane nell’industria militare: dalla messa a punto di nuove armi e tecnologie di guerra, poi testate sulla popolazione palestinese (come il Technion), alle tecnologie di sorveglianza (come Pegasus, usato da regimi autoritari arabi per colpire gli attivisti per i diritti umani e dagli stessi governi europei) allo sviluppo di teorie volte a giustificare lo spossessamento della popolazione palestinese e l’uso della violenza contro di essa». Si tratta di legami già messi in evidenza da Giuseppe Curcio nel sul Dossier sull’Università di Bologna. […]

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