La cultura della guerra si infila nelle scuole e nelle università, in che modo e con quali mezzi lo spiega in un’intervista rilasciata a Miriam Viscusi per Lettera42.it, Serena Tusini, attivista dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università.
Obbedienza cieca, dovere, amore della Patria, promozione dei conflitti bellici: sono alcuni dei valori promossi nel nostro sistema di istruzione tramite iniziative legate al mondo militare. Un Osservatorio prova a smascherarle per tenerle separate dall’insegnamento. Ma tra attività, gadget, visite alle caserme e finanziamenti delle ricerche, l’elenco delle commistioni è lungo.
In questo contesto, valori militari di dovere, amore incondizionato per la Patria e di cieca obbedienza sono in netto contrasto con quello che la scuola, di ogni ordine e grado, dovrebbe insegnare: «A scuola bisogna imparare innanzitutto il senso critico» dice Serena Tusini.
I membri dell’osservatorio svolgono diverse attività per monitorare i casi, in crescita, di ingresso delle forze armate nei percorsi educativi di ragazzi e ragazze. Tra le attività, la preparazione di proposte pedagogiche dedicate alla pace; la creazione di vademecum per genitori e insegnanti che vogliano opporsi alle attività di stampo “bellico”; la scrittura di dossier a catalogo di segnalazioni e iniziative; la diffusione di volumi divulgativi. Inoltre, ci si impegna per gettare una luce critica sulle commemorazioni storiche proposte a scuola. Una di queste è la giornata delle forze armate del 4 novembre, suggerita come giornata da celebrare nelle scuole in modo acritico, che «dà una visione distorta del ruolo dell’esercito, soprattutto nella Prima guerra mondiale», commenta Tusini.
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