Stefano Bertoldi: “Bulli Stop”, progetto poco pedagogico conforme a logica “Legge&Ordine”

È molto accattivante la performance dei ragazzi-attori del progetto denominato “Bulli Stop” dell’Associazione nazionale contro il bullismo che sta girando in diverse scuole italiane a macchia di leopardo con interventi di circa un’ora l’uno.

Va da sé che in un’ ora non si possa risolvere il problema del “bullismo”, se proprio vogliamo chiamarlo così, giusto per semplificare, come fa spesso il Ministero dell’istruzione. Ciò che è certo, tuttavia, è che in un’ora si possono invece lanciare dei messaggi molto chiari.

Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università abbiamo assistito ad uno di questi spettacoli sulla carta finalizzati proprio a ridurre il fenomeno del bullismo e abbiamo effettuato un’analisi dell’approccio culturale seguito per un intervento, d’impatto notevole sul piano emotivo, perché portato in scena da attori, giovani, energici, il cui scopo non era appunto l’interazione, il dialogo, con i ragazzi, ma quello di colpirli emotivamente per far passare due messaggi fondamentali molto coerenti, se si analizzano i personaggi che animano l’Associazione e soprattutto i patrocini ottenuti.

Il primo messaggio che esce forte e chiaro è: il/la singolo/a deve farsi carico del problema – semmai con l’ausilio della classe che in maniera generosa non può, anzi non deve, secondo i trainer, restare vigliaccamente a guardare, mentre una ristretta minoranza di cattivi e violenti sevizia a parole o menando le mani un3 loro compagn3. La persona oggetto di soprusi deve prima di tutto rivolgersi ad un adulto per denunciare l’accaduto, avendone fiducia piena e poi eventualmente andare ancora più a fondo nella questione, passando alle vie legali attraverso il supporto, appunto, dell’associazione.

Del concetto di giustizia riparativa neanche l’ombra, pur trattandosi di un contesto educativo e non di un “riformatorio” così come è stato ribattezzato il carcere minorile da uno dei trainer. Peraltro, si è dimenticato di sottolineare che fortunatamente proprio il carcere, contrariamente al mondo degli adulti, concerne una ristrettissima minoranza di tutti i giovani che entrano nel circuito penale.

Ci si sofferma poi in modo molto “televisivo”, grazie al pathos attoriale, sugli aspetti più truculenti delle violenze, quelli dei casi più esemplari e soprattutto subito dopo sulle conseguenze penali, tutte gravissime, di tali gesti. Nessun cenno viene fatto rispetto ai segnali deboli che proprio gli adulti devono riuscire a rilevare, ma non semplicisticamente rispetto al rischio violenza di uno o più singoli soggetti, ma rispetto un’equilibrata amalgama della classe, nelle sue interrelazioni perché un gruppo classe, in teoria, proprio secondo alcuni capisaldi della pedagogia, è molto di più della somma delle singole componenti.

Nessun cenno, inoltre, viene fatto rispetto alla violenza insita nei rapporti di forza lavorativi ed economici del nostro turbo-capitalismo che tutto precarizza, facendo implodere gli istinti violenti o meglio i conflitti che, in realtà, fanno parte dell’uomo non come una malattia, ma come una forma espressiva, un’energia che va accolta e poi indirizzata positivamente sul piano collettivo.

L’approccio, quindi, è sostanzialmente individualistico e psicologico, mentre il gruppo subentra come soggetto che deve farsi carico, come farebbero una mamma o un papà, di proteggere il più “debole”, entrando quindi nella solita dinamica delle poche mele marce che, essendo una minoranza, può essere sconfitta da una maggioranza di soggetti potenzialmente “buoni”, se solo evitassero di essere dei codardi spettatori.

Il secondo messaggio che esce fuori anch’esso non stupisce affatto visto il clima culturale in cui siamo immersi, cioè quello del “punirne pochi per educarli tutti“: intorno a noi abbiamo tutti gli strumenti per difenderci, costituito da un armamentario di numeri verdi e uffici legali. Quindi occorre denunciare e uscire allo scoperto così come, in un goffo tentativo di interazione con il proprio pubblico, gli attori hanno chiesto sul finale, ma senza successo, chi avesse subito una qualche violenza da bullismo mentre, ovviamente, uno su cento ha ammesso di essere stato responsabile di atti di bullismo, ma il tutto senza indagare più di tanto salvo applaudire come in una convention made in USA.

Bastava, quindi, nell’ economia dell’incontro una semplice alzata di mano, in chiusura dello spettacolo, subito dopo una carrellata di immagini (non si sa bene da quale paese provenissero) di vittime di violenza di ambo i generi, tesa probabilmente a stimolare una relazione empatica tra pubblico e performer. D’altra parte e in un’aula gremita di ragazzi in un clima spettacolarizzato e spettacolarizzate, sarebbe stato più unico che raro vedere delle mani alzate da parte delle “vittime”, ma poi del resto non ci sarebbe stato nemmeno il tempo per approfondire, di valorizzare rischiando di creare solo degli effetti secondari indesiderati.

Andando poi a scavare a fondo tra i soggetti promotori dell’associazione, i vari testimonial e i patrocinatori vediamo che a parte il fu Maurizio Costanzo, figura, sia come VIP che come presidente onorario, Luciano Garofano ex generale del RIS dei Carabinieri, mentre, rimanendo in ambito “giuridico-legale-pubblica sicurezza” per quanto riguarda l’assistenza legale non c’è un semplice avvocato, ma un legale come Eugenio Pini con una significativa esperienza in Polizia di Stato e poi nell’assistenza legale a sindacati di polizia o singoli poliziotti, nonché “negli anni – si legge nel sito web – officiato di numerosi incarichi difensivi in processi penali di rilevanza nazionale e di elevato interesse mediatico”.

D’altra parte, l’aspetto mediatico, le strizzatine d’occhio al mondo dei VIP in una cultura dell’immagine e dell’apparire sono d’obbligo, ma si può osservare che benché il marchio registrato “Teatro d’animazione pedagogico” rappresenti appunto un momento d’incontro tra finalità formative e la metodologia del teatro d’animazione e la drammatizzazione, la presenza dei testimonial, giovani e anziani, ambasciatori e madrine, provenienti dai palcoscenici è preponderantese non unica.

Non si può tralasciare, in conclusione, la lista dei patrocinatori e delle partnership: si va dai protocolli d’intesa con la Questura di Roma e in particolare l’area che fa riferimento al progetto Scuole Sicure, al Ministero dell’Istruzione e ai ministeri della Giustizia, dell’Interno e in particolare la Polizia di Stato per chiudere con l’immancabile ministero della Difesa oggi particolarmente di moda.

Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

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